"L'è morta ma ghe bàte el cór" a Verona e a Mirano

18.03.2018
 

"L'è morta ma ghe bàte el cór" è un progetto di Susanna Bissoli, Letizia Quintavalla e Rosanna Sfragara, coprodotto da Tam Bottega d'Arte e Echidna Associazione Culturale/BelVedere Lab.

Andrà in scena:
- giovedì 29 marzo alle ore 21 al Teatro Camploy di Verona per la "Festa della donna 2018"
- venerdì 13 aprile alle ore 21 al Teatro Belvedere di Mirano (VE)

 

 

L'è morta ma ghe bàte el cór

 

un progetto di Susanna Bissoli, Letizia Quintavalla, Rosanna Sfragara

testo Susanna Bissoli

direzione artistica Letizia Quintavalla

con Susanna Bissoli, Rosanna Sfragara, Iuna Bressan

elaborazione sonora Giancarlo Dalla Chiara

cura generale Cristina Palumbo

coproduzione Tam Bottega d'Arte, Echidna Associazione Cult./BelVedere Lab., 

in collaborazione con Associazione Armilla

​Tam Teatromusica è impresa di produzione di teatro di innovazione nell'ambito della sperimentazione, riconosciuta da MIBACT

 

Nel 1948 in un paesino della provincia veneta, ad una giovane donna, figlia di contadini, appare la Madonna che le predice il giorno e l’ora della morte. Comincia un afflusso crescente di pellegrini e curiosi. La santa diventa un motore dell’economia del paese: si affittano stanze, si adibisce un campo a parcheggio per le biciclette, i vicini vendono ai pellegrini sacchettini di terra provenienti dal cortile della donna. A forza di prelevare terra scavano una buca. Arrivano il giorno e l’ora designati, ma la santa non muore. Fine della santa. L’attesa si muta in delusione, l’adorazione in scherno. Il prete viene mandato via dalla parrocchia, sulla vicenda cala il silenzio. Da quella notte la ragazza resta misteriosamente paralizzata alle gambe, non uscirà più di casa ma vivrà ancora per molti anni. Susanna Bissoli è venuta a conoscenza di questa storia vera da suo padre alcuni anni fa e da allora è iniziato per lei un lungo percorso di ricerche, raccolte di materiali, tentativi di scrittura per andare a fondo di quella che a poco a poco è diventata una sorta di ossessione.

 

 

La santa è ancora viva. “E adeso t’è conosú ‘na vécia”, ha detto a Susanna quando è andata nella sua casa per conoscerla.

 

L​a vicenda della santa resta misteriosa e muta come uno schermo bianco su cui tutti proiettano se stessi.

 

Gli spettatori disposti in cerchio sono assemblea riunita per un evento, come la folla riunita quella sera sotto la casa della santa.

 

In scena due donne e una bambina: figure richiamate da stralci d’immaginario per officiare una sacra rappresentazione del ricordo.

 

In questo a lavoro s’ intersecano tre dimensioni: il sacro, il femminile e il dialetto. Il sacro perché parla delle visioni di una “santa”, di una folla che si raduna in attesa di un miracolo ma anche - forse soprattutto - del luccichio del sacro dentro dei frammenti di memoria. Il femminile perché è un lavoro che nasce dall’amicizia di tre donne, perché vede in scena due donne e una bambina che si confrontano con la malattia, il corpo, la morte e anche perché parla del deserto di solitudine che attende chi vive oltre la propria fine, tenendo sulle ginocchia il proprio corpo morto come la Madonna nella Pietà di Michelangelo. Infine il dialetto, perché è la prima lingua che ho parlato, la lingua dei miei sentimenti e anche quella dei protagonisti di questa storia, che ha le sue radici nella Bassa Veronese ma proprio per questo parla alle radici profonde, ai tronchi, ai rami spezzati di ogni regione e di ogni terra.                 

 

Susanna Bissoli

 

 

 
 
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